Orme scomparse

di Luisa Caeroni


Un giovanotto con un cappello in mano e l’abito della festa stava appostato fuori dalla chiesa parrocchiale di Corigno, in attesa che la messa terminasse. Altri uomini poco lontani, che avevano abbandonato in anticipo la celebrazione per insofferenza al fumo delle candele, parlottavano fumando il sigaro. Finalmente si udì provenire dall’interno il sospirato “ite missa est”e le persone fuori allargarono il cerchio in attesa dei loro familiari.
Sandro aveva visto Rachele un giorno in paese e l’aveva trovata deliziosa. A ciò si aggiunse il parere di una zia che gliela aveva indicata come una giovane da conoscere e corteggiare, suggerendogli di fare in modo di incontrarla. Il ragazzo, quella domenica, l’attese al termine della messa e, facendosi coraggio, le rivolse qualche timida parola. Rachele non si sottrasse all’interloquire di quel giovane che si presentava con evidente timidezza e lui si convinse di poter proseguire nel corteggiamento.
Aveva 21 anni Rachele quando conobbe Sandro.
Come prima figlia femmina aiutava in casa e nel lavoro dei campi. Sapeva fare ogni cosa con maestria, solo la bicicletta le faceva paura; non volle mai imparare ad usarla nonostante fosse costretta a percorrere a piedi i tre chilometri che distanziavano il centro abitato dalla sua dimora al Casale: un complesso rustico, residenza di contadini che coltivavano la terra per conto di una famiglia nobile. Dopo quella promettente domenica Rachele trovò spesso un motivo per recarsi in paese cercando di apparire nel modo migliore. A quei tempi in campagna, quando non si camminava a piedi nudi, si usavano gli zoccoli; le scarpe erano un bene normalmente non disponibile. Anche gli zoccoli però si logoravano, specie quando si usava lo stesso paio dall’alba al tramonto e giorno dopo giorno. Rachele così, alla porta di accesso al centro urbano, toglieva la sua rozza calzatura malconcia e calzava un paio di zoccoli meno consumati che aveva portato con sé. Quelli vecchi li nascondeva in una feritoia delle mura del borgo medievale, per riprenderli al ritorno. Il comune di Corigno è circoscritto da turrite mura di cinta ancora intatte e visibili, con relativo fossato e anche le case all’interno della fortificazione hanno mantenuto le loro caratteristiche. La strada che dal centro abitato conduceva alla cascina di Rachele era spesso deserta e le coltivazioni la rendevano poco esposta alla vista. Le donne del Casale non la percorrevano mai da sole, per non rischiare di incontrare individui loschi. Anche Rachele si recava in paese accompagnata da qualcuno.
Passò qualche settimana dall’incontro fuori dalla chiesa quando Sandro si presentò ai genitori di lei per esporre l’intenzione di fidanzarsi e, non rinvenendo reazioni contrarie, incominciò a frequentare la famiglia. Il giovedì sera, dopo un duro lavoro nei campi, il giovanotto raggiungeva il Casale in bicicletta, lungo la via già descritta. Sandro non temeva di percorrere al buio quella strada solitaria, tuttavia dopo poco tempo, incappò in bizzarrie inaspettate. Una sera si ritrovò la via sbarrata da mazzi di steli di granoturco a fasci; un’altra volta dovette tornare con la bicicletta a mano perché qualcuno gliel’aveva forata e ancora, una sera, un filo invisibile tirato da una parte all’altra del sentiero lo fece ruzzolare malamente. Il giovane uomo, che aveva già imparato a vivere, decise di lasciare perdere, ma le beffe continuarono e divennero sempre più pesanti. Rachele e i suoi fratelli indagarono per scoprire gli imbecilli artefici di tali inettitudini. Furono presto individuati nei giovanotti delle cascine circostanti che non vedevano di buon occhio l’estraneo che veniva dal paese a fidanzarsi con una ragazza del loro vicinato. Quando Sandro scoprì gli autori degli scherzi, rendendosi conto che da solo non poteva affrontarli perché si trattava di soggetti fisicamente ben piazzati, si rivolse al cugino Tano” per chiedergli aiuto. Tano era alto e forte, abituato, per il suo mestiere di fabbro a far lavorare i muscoli e per la sua mole incuteva rispetto. Il difensore di Sandro quindi avvicinò alcuni dei responsabili e lanciò la sua sfida: “Se succederà ancora qualcosa a mio cugino, avrete a che fare con me!” Nessuno più da quel ammonimento osò continuare i tiri mancini.
Le visite di Sandro erano sempre improntate alla riservatezza: stava con soggezione vicino all’ingresso senza dire una parola. I genitori di Rachele, lo incitavano ad entrare con una serie di “avanti, avanti, venga dentro, si accomodi”. Il ragazzo prendeva una sedia zoppa a portata di mano, con gli occhi inchiodati al pavimento, rimaneva in silenzio finché qualcuno non si decideva ad interloquire. Lasciava parlare i futuri suoceri frapponendo pochi monosillabi come se li tastasse per paura di scottarsi. Anche Rachele non era molto loquace. Nelle sere delle visite i suoi genitori non riuscivano a nascondere gli sbadigli, stanchi della loro giornata di lavoro. La madre cercava di reagire ciabattando un poco nella stanza, mentre il padre mostrava la scriminatura dei suoi lisci capelli, sforzandosi di riprendere ogni tanto la posizione eretta del capo. I fidanzati non potevano mai rimanere soli. Ci doveva sempre essere un testimone, sia in casa che fuori. Tuttavia i due ragazzi, con la complicità del crepitio del camino, si scambiavano intense espressioni. Avevano anime uguali e si comprendevano all’istante.

Come da usanza, dopo il matrimonio, lo sposo fu il primo e l’unico a portare la moglie in famiglia. C’erano i genitori, due sorelle e un fratello. Le sorelle lavoravano in fabbrica e Rachele condivise con la suocera le mansioni tipiche di casalinga all’interno del nuovo nucleo. Al momento del pranzo o della cena, tutti si sedevano attorno al tavolo per mangiare. Rachele serviva diligentemente, accontentandosi della porzione rimasta.
La suocera, non le era ostile; per quanto possibile cercò di risparmiarla nelle fatiche domestiche, ma ovviamente a Rachele, più giovane e forte, competeva il maggior impegno. La madre di Sandro morì presto e lasciò la nuora sola col peso di tutta la famiglia.
Nelle sere d’estate Rachele, quando la luce serotina prometteva di abbassare i toni di momento in momento, terminati i suoi compiti, usciva all’aperto in un angolo remoto dell’aia, era il suo eremo: provava il bisogno di restare sola, di pensare. Seduta su di un asse adibito a panchina, scostava il sipario sui sogni di una vita coniugale diversa da quella che andava vivendo giorno dopo giorno. Nessun evento particolare aveva defraudato la sua esistenza, ma aveva aspirazioni a forme di vita migliori. Sandro era nei campi dall’alba al tramonto; i cognati e il suocero erano da servire; la casa non era la sua. Nulla le apparteneva veramente. Gli alberi che elargivano un po’ d’ombra durante le ore più calde, la sera giocavano con un flebile soffio di vento producendo fantasmi intangibili. Lei pensava e ascoltava il loro stormire che si mescolava alle sue ansie. A volte il sussurro diveniva ululato, I pioppi le dicevano: non essere triste, questa è la vita, mentre l’ontano dalle generose frasche sembrava protendersi verso di lei per accarezzarla. La robinia, trasmetteva, con un eco sconnesso, la sua predizione: cambierà vedrai quando avrai un figlio. Questo pensiero la scaraventava nell’angoscia: era trascorso quasi un anno dal matrimonio e non avvertiva alcun segno incipiente di maternità e su di lei già si mormorava.
Era costume che ogni sposa dovesse partorire il primo figlio entro l’anno di matrimonio; quando ciò non accadeva, la donna era additata come incapace di procreare. Rachele si fece visitare dal ginecologo che ne attribuì la causa all’esile costituzione. Suo suoceroperò, diffidando del responso del medico, un bel giorno prese il suo carretto e la condusse al santuario della ”Madonna del Bailino” protettrice delle donne che hanno difficoltà a rimanere incinte, per iniziare una novena ed ottenere il dono della maternità. La Madonna non si fece pregare a lungo e la grazia arrivò immediatamente. In realtà già all’inizio della novena Rachele portava dentro di sé una nuova vita, ma non lo sapeva. Dopo la prima gravidanza, altri figli arrivarono a scadenze ravvicinate. In tutto furono dodici.
Rachele li considerò una predilezione di Dio.
Mansuetudine e serenità d’animo costituivano la sua indole. Aveva la semplicità nel cuore, non chiedeva la luna e regalava stelle senza accorgersene. Circondata dai suoi numerosi figli si sentiva nel proprio elemento.

 

 

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